La pratica della felicità

Per me essere felici significa soffrire di meno. La felicità sarebbe impossibile se non fossimo capaci di trasformare il dolore dentro di noi.

Molti cercano la felicità al di fuori di sé, ma la vera felicità deve venire da dentro. La nostra cultura afferma che si è felici se si hanno soldi, potere e una buona posizione sociale. Se osservate con cura, però, notate che molte persone ricche e famose non sono felici. Anzi, molte di loro si suicidano.

Il Buddha e i monaci e le monache del suo tempo non possedevano nulla all’infuori di tre abiti e una ciotola; eppure erano molto felici perché possedevano qualcosa di estremamente prezioso: la libertà.

Secondo  gli insegnamenti del Buddha, la condizione essenziale per la felicità è la libertà; non tanto la libertà politica quanto piuttosto la libertà dalle formazioni mentali della rabbia, della disperazione, della gelosia e dell’illusione.

Il Buddha le definisce veleni. Finché questi veleni rimangono nel nostro cuore, non è possibile alcuna felicità.

Si sia cristiani, musulmani, buddhisti, induisti o ebrei, se si vuole essere liberi dalla rabbia si deve praticare.

Non si può chiedere al Buddha, a Gesù, a Dio o a Maometto di togliere la rabbia dai nostri cuori per conto nostro.

Esistono istruzioni precise sui metodi per trasformare l’avidità, la rabbia e la confusione dentro di noi; se le seguiamo e

se  impariamo a prenderci cura della nostra sofferenza possiamo aiutare gli altri a fare lo stesso.

Da “Spegni il fuoco della rabbia” di Thich Nhat Hahn

 

In memoria di Thich Nhat Hahn

Thich Nhat Hanh è morto lo scorso 22 gennaio 2022, all’età di 95 anni. Nato in Vietnam centrale nel 1926, all’età di sedici anni fu ordinato monaco buddhista e da allora interpretò e promosse il Dharma quale strumento per portare pace, riconciliazione e fratellanza nella società, accogliendo anche diverse tradizioni. Nel 1964, durante la guerra del Vietnam venne arrestato e torturato; si mantenne equidistante sia dal governo del Vietnam del Nord sia dal Vietnam del Sud e diede vita al movimento di resistenza nonviolenta dei “Piccoli Corpi di Pace”: gruppi di laici e monaci che andavano nelle campagne per creare scuole, ospedali e per ricostruire i villaggi bombardati, nonostante subissero attacchi da entrambi i contendenti (vietcong e statunitensi), poiché li ritenevano alleati del proprio nemico.

Nel 1967, mentre si trovava negli Stati Uniti, conobbe Martin Luther King, il quale, dopo averlo incontrato, lo candidò al Premio Nobel per la pace, e prese posizione pubblicamente contro la guerra in Vietnam. Due anni dopo, costretto all’esilio, diede vita alla Delegazione di Pace Buddhista, che partecipò alle trattative di pace di Parigi. Dopo la firma degli accordi, gli venne rifiutato il permesso di rientrare nel suo Paese da parte del governo comunista.

Si stabilì quindi in Francia, dove nel 1982 fondò Plum Village, comunità di monaci e laici uomini e donne nei pressi di Bordeaux, nella quale visse e insegnò l’arte di vivere in consapevolezza“.

Solo nel gennaio del 2005, dopo 39 anni di esilio, su invito ufficiale del governo vietnamita, poté far ritorno per tre mesi in Vietnam. Ritornò poi in Vietnam nel febbraio del 2007 per un tour di 10 settimane, durante il quale tenne discorsi davanti ad occidentali e vietnamiti, attratti dalle lezioni del maestro, di cui si giovarono per praticare il Buddhismo. Per una parte del soggiorno meditò e insegnò in un monastero posto su una collina a 140 km a nord di Ho Chi Minh. Ai suoi ritiri parteciparono ogni anno migliaia di persone, provenienti da ogni parte del mondo. Era inoltre vegano e un fautore dei diritti degli animali. Nel 2014 fu colpito da un ictus e venne curato sia in Francia sia negli Stati Uniti. Dopo tale evento, per suo desiderio tornò nella sua patria, il Vietnam, dove continuò a impegnarsi per migliorare il suo stato di salute, seguito costantemente dai monaci e da personale esperto in medicina ufficiale e in medicina tradizionale.