Per bilanciare l’energia dell’estate che ci porta all’esterno, cerchiamo momenti di solitudine e di silenzio.

Creiamo uno spazio tra noi e il mondo rumoroso ed esigente, un grembo di quiete in cui continuare a rinascere.

Il silenzio ha una forza rigenerativa: è sempre sacro, ci riporta a casa. Quando siamo soli, lontani dagli altri, siamo con noi stessi. Così possiamo ascoltare la voce interiore, accettarne le direttive, ricatturare i nostri sogni.

Gli antichi conoscevano il valore del cammino solitario, la veglia silenziosa accanto al fuoco.

Noi invece viviamo in un tempo in cui la tecnologia ci ha derubato del silenzio. “Chiudi le porte, blocca le aperture, passa dalla luce esteriore a quella interiore” (Tao Te King, Capitolo 52).

Così facendo, i mistici di ogni epoca e di ogni religione hanno sperimentato un sentimento totale di liberazione, di non attaccamento, di vuoto. Se siamo capaci di liberarci da tutto ciò che ingombra il cuore, allora troveremo la pienezza, perché troveremo lo Shen, riflesso del Tao, la verità di noi stessi e la potremo realizzare.

Abitare il proprio cuore è capire i pensieri, le emozioni che ci hanno impedito di prendere decisioni chiare, di trovare risposte ai problemi; è renderci conto dei nostri sentimenti più veri.

Possiamo osservare tutti i nostri detriti emotivi, capire che cosa non ci è utile e che cosa produce inquietudine e ci arreca dolore e decidere che cosa gettare e che cosa conservare con amore.

Questa introspezione non deve, però, essere un ripiegamento che impedisce di risalire alla sorgente della nostra vitalità, al Mistero che vive in noi.

È un tirocinio lungo e paziente per liberarsi da tutta quella emotività che ci appesantisce, per seguire quell’impulso a vivere che ci attraversa e che giunge a noi, non dalla sfera ristretta dei desideri e delle percezioni, ma dal nostro cuore.

Da “Curarsi secondo stagione” di Emilio Minelli e Fabrizia Berera

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